forum degli amici

Il nostro nemico giurato ci ha ridato le gambe

« Older   Newer »
  Share  
Danny Daniell
view post Posted on 10/2/2016, 12:19




n-SIRIA-ISRAELE-large570



Guerra Siria, viaggio nel Golan tra i feriti siriani curati da Israele.

Hassan è un combattente del Free Syrian Army. Due mesi fa una bomba russa lo ha colpito, ferendolo gravemente. Ora si trova dove mai avrebbe pensato di essere: in un ospedale nel nord di Israele, dove a prendersi cura di lui ci sono medici e infermieri israeliani. Ha perso una gamba; la ferita sull'altro piede è profonda, ma si rimarginerà. Accanto al letto ha già una gamba nuova: una protesi con una scarpa da ginnastica fluorescente, procuratagli da una delle ong che collaborano con l'ospedale. Aspetta di tornare da sua moglie: “Non potrò più combattere, mi appoggerò a lei”. Il futuro della Siria – aggiunge - “va di male in peggio”. Ma è ancora vivo, e questo è già un miracolo.



A portarlo qui, allo Ziv Medical Center di Safad, sono stati i paramedici israeliani della Brigata del Golan, che dal febbraio del 2013 – prima discretamente, poi sempre più alla luce del sole – ogni settimana vanno alla frontiera tra Israele e Siria a prendere i feriti più gravi che attendono al confine. Tra questi paramedici c'è Michel, vent'anni, figlio di un'ebrea e di un arabo cristiano. “Io per ora sono senza religione, mi interessa solo salvare queste vite. Dopo il servizio militare voglio diventare un medico”, racconta. “Sono felice di parlare arabo, così in ambulanza posso tranquillizzare i feriti. Qualche settimana fa abbiamo soccorso un bambino di 8 anni ferito alla testa. Pensavo non avesse scampo, invece siamo stati abbastanza veloci: si è salvato. Suo padre mi ha ringraziato. Spero che quel bambino un giorno dica a suo figlio che lo ha salvato un israeliano”.

Nelle storie di questi due ragazzi c'è un piccolo pezzo della guerra siriana e della strategia di Israele per provare a raffreddare questa frontiera. Il sud-est della Siria, infatti, resta uno dei fronti più caldi del conflitto: qui la galassia ribelle combatte metro per metro contro le truppe di Assad. La città vecchia di Quneitra è occupata dai ribelli, così come i villaggi limitrofi; la nuova città di Quneitra è nelle mani delle truppe di Damasco.

“Aiutiamo i ribelli siriani perché vogliamo creare una frontiera amica”, spiega una fonte dell'esercito israeliano. “Non riceviamo nulla in cambio, nemmeno informazioni. Lo facciamo per ragioni umanitarie. Sappiamo che i ribelli appartengono essenzialmente a tre categorie: ci sono i moderati, i salafiti e formazioni estremiste come Jabhat al-Nuṣra, che sappiamo avere collegamenti con Daesh. Siamo consapevoli che in futuro questi ultimi potrebbero cercare di colpire Israele. Per ora non abbiamo intenzione di attaccarli, vogliamo che la frontiera resti più tranquilla possibile. Anche per questo ci occupiamo di curare i feriti, per dimostrare ai siriani che Israele non è più un nemico”.



Allo Ziv Medical Center – un ospedale relativamente piccolo, con 331 letti - i primi feriti siriani sono arrivati il 16 febbraio del 2013. “Da allora, fino a febbraio 2016, abbiamo curato 570 pazienti”, racconta il dottor Kassis Shokre. Oltre al centro medico di Safad, altri due ospedali israeliani forniscono assistenza medica ai feriti del conflitto siriano. In tutto sono stati curati più di duemila pazienti.

“Tra loro c'è di tutto: combattenti, bambini, donne in gravidanza. Almeno dieci donne hanno partorito in questa struttura”, spiega il medico. “Sono i militari israeliani a portarci i feriti. Inizialmente l'attività umanitaria era condotta in maniera discreta, adesso è diventata la norma. Ci sono pazienti ricoverati da due-tre mesi che adesso parlano l'ebraico”.

A parte un po' di sospetto iniziale, qui non c'è traccia dell'astio che ci si aspetterebbe tra due popolazioni in stato di guerra dalla fondazione dello Stato di Israele. “Con lo staff e gli altri pazienti non ci sono problemi di convivenza. Siamo ebrei, arabi, cristiani... non ci importa cosa siano loro, per noi sono prima di tutto pazienti”, aggiunge il dottor Shokre. “Molti di noi parlano arabo. Ricordo la sorpresa di una bambina di otto anni, arrivata qui in condizioni disperate, alla mia domanda 'Habibi, cara, cosa ti è successo?'. A due mesi da quella sua prima risposta - 'Mio padre mi ha detto di non parlare con nessuno' - eravamo diventati grandi amici. Abbiamo festeggiato qui il suo nono compleanno”.

Nella stessa stanza di Hassan ci sono anche Ahmad e Salman. Anche loro sono giovanissimi, avranno a malapena 25 anni. Prima della guerra civile Salman faceva il contadino. Poi è stato colpito da una bomba a grappolo. Ahmad invece studiava ingegneria. Una mina gli ha staccato metà piede, per mettere la protesi dovrà aspettare ancora un po'. Mentre Salman chiede al dottor Shokre notizie della sua protesi, Hassan si volta a guardare la sua gamba nuova appoggiata al muro. Sulla calzatura spicca la scritta fosforescente 'New Balance'. Alla domanda “come vedete il futuro della Siria”, tutti e tre rispondono allo stesso modo: “Di male in peggio”.



In un'altra stanza c'è Mohamed, un veterano dell'ospedale. Nell'ottobre del 2014 gli hanno sparato con un kalashnikov davanti casa, a poche centinaia di metri dal confine con Israele. Allo Ziv Medical Center lo hanno sottoposto a un'emipelvectomia: gli hanno amputato una gamba e metà bacino. “È vivo per miracolo, tutti lo davamo per morto”, dicono i medici. La prima volta è stato ricoverato per quattro mesi, la seconda per due, ora è in attesa di una colostomia. È sposato, ha due figlie e un figlio. Prima della guerra, era un militare del regime siriano. Poi l'area in cui vive è stata occupata dai ribelli, e come molti ha cambiato bandiera. “Israele era un nemico per me. Ora so che è meglio della Giordania. Il futuro della Siria? Di male in peggio. Siamo vittime di una guerra tra nazioni; il conflitto è dominato da forze esterne, noi siamo le vittime”. Per i medici dello Ziv, la soddisfazione più grande è riuscire a evitare un gran numero di amputazioni. “C'è una forte collaborazione con gli psicologi, gli assistenti sociali e le organizzazioni no profit. Grazie al loro contributo, in particolare, siamo riusciti a recuperare le protesi per moltissimi amputati. In Siria non hanno più nulla, se la sognano una gamba nuova...”.

La Difesa confida nel potenziale distensivo di questi sforzi, che sono chiaramente anche frutto di un calcolo geopolitico: la speranza è che questi siriani, una volta tornati al di là del confine, contribuiscano a creare un clima meno ostile nei confronti di Israele. Una speranza che trova qualche conferma nelle impressioni del personale medico. “Le reazioni dei pazienti siriani sono molto cambiate rispetto ai primi tempi”, spiegano. “All'inizio in molti avevano paura: arrivano qui addormentati, magari sotto anestesia, e si svegliavano in Israele, nelle mani dei 'nemici giurati'. Per alcuni era uno shock. Ora invece vogliono venire qui, sanno che li curiamo al meglio delle nostre possibilità. Ci sono pazienti che tornano due-tre volte per terminare le cure. Ormai ci considerano un ospedale siriano”.



huffingtonpost
 
Top
0 replies since 10/2/2016, 12:19   16 views
  Share